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Autore: Michele Schirru

  • È stata la startup più valutata degli Stati Uniti, con progetti di rivoluzionare il modo in cui lavorare ed il dove lavorare delle persone in tutto il mondo.

    In questo articolo ti voglio parlare della spettacolare ascesa e caduta di WeWork, ma soprattutto racconteremo la storia dell’uomo dietro a tutto questo, Adam Neumann.

    WeWork è stato un caso molto particolare nel mondo startup, lo scorso autunno ha infiammato l’intero globo e soprattutto gli Stati Uniti. Si sono mobilitati media ed esperti di ogni caratura e livello.

    Quando si parla di IPO e di startup che volano ad alta quota, si è abituati a vedere cambiamenti drammatici, in brevi periodi di tempo. Ma niente può essere realmente paragonato a ciò che è successo con WeWork.

    In meno di un anno si è passati da essere una delle startup più apprezzate di tutti i tempi a trovarsi a perdere più di tre quarti del proprio valore stimato.

    Non solo, il CEO rockstar Adam Neumann si è trovato spogliato del suo progetto e la società ha attraversato un disperato bisogno di un cash, affrontato con dolore dal suo più grande investitore – SoftBank – solo per mantenere le luci del business accese.

    Ma per capire come siamo arrivati a questo punto, dobbiamo dare un’occhiata agli errori commessi lungo il percorso.

    Ho trovato molto interessante andare ad approfondire la questione attraverso gli speciali dedicati dal New York Times e da Bloomberg.

    Insieme all’articolo che ho pubblicato qui sul blog, puoi anche ascoltare il podcast – cliccando a questo link – e vedere il video qui sotto in cui racconto la storia.

    Da dove comincia questa avventura?

    La storia di WeWork inizia con un uomo di nome Adam Neumann, entrepreneur di grande talento nato e cresciuto in Israele.

    Come lui stesso racconta, cresciuto guardando la televisione ed i film americani, convincendosi che il sogno americano fosse quello di prendersi una laurea, trovare un ottimo posto di lavoro, divertirsi, fare un sacco di soldi.

    Non è un caso allora che, al momento di prendere una laurea, Neumann si trasferisce a New York e si specializza in Entrepreneurship e Marketing.

    Dopo una serie di esperienze imprenditoriali e progetti fallimentari, nel 2010 incontra Miguel McKelvey ed insieme fondano WeWork.

    Era un momento d’oro per essere nel business del co-working.

    Tante persone che avevano molteplici idee per le loro startup, la Silicon Valley era in pieno boom e c’era il bisogno di un posto dove lavorare che fosse fuori dal seminterrato di casa dei propri genitori.

    WeWork permetteva alle persone di affittare una scrivania o un ufficio privato dotato di servizi come internet, caffè e bellissime e spaziose aree comuni.

    WeWork era lo spazio adatto per dare voce alla community, divani dappertutto per il team-building. C’era birra e vino alla spina, perciò, invece di uscire a bere qualcosa, si rimaneva direttamente in ufficio.

    Era davvero un simbolo del nuovo fenomeno imprenditoriale del millennio.

    In altre parole, questo tipo di spazio era perfettamente adatto a una generazione di persone che non si vedevano come impiegati, ma come startup ed imprenditori che avevano bisogno di un posto per esserlo davvero.

    “WeWork è lo spazio-ufficio di domani. Il futuro è fatto di luce, innovazione, creatività. Va da me al noi. Noi vi diamo uno spazio che vi ispirerà, vi solleverà spiritualmente e vi aiuterà ad innovare i prodotti di domani”. Adam Neumann

    Nella mente di Adam, questa era un’azienda comunitaria. Pensa che, la sua mission, era quella di elevare la coscienza del mondo.

    D’altronde, essendo cresciuto in una kibbutz in Israele, ne parlava come se dovesse creare una sorta di comunità capitalista. Era un miscuglio di trambusto capitalistico miscelato al desiderio di community.

    Adam Neumann voleva che, WeWork, creasse un mondo in cui le persone non si guadagnassero da vivere, ma piuttosto si facessero una vita.

    La figura iconica del visionario e l’arrivo di SoftBank

    La cosa in cui Adam Neumann era davvero bravo era comunicare la sua visione, convincere le persone che poteva cambiare il modo di lavorare e di vivere.

    Alto 195 cm, carismatico, con i capelli castani fluenti, la gente lo ammirava. Quando entrava in una riunione, la gente gli prestava letteralmente attenzione.

    Ma la persona più importante che si è bevuta interamente la sua visione è stata un dirigente giapponese, il capo di una società chiamata SoftBank: Masayoshi Son. Tutti lo chiamano Masa.

    SoftBank supervisiona una fondo chiamato Vision Fund. Si tratta del più grande fondo di investimento in tech del mondo.

    Fondi in gran parte provenienti dai sauditi che vogliono diversificare la loro attività lontano dal petrolio e investire nella tecnologia. Masa, invece, è un personaggio molto interessante che si è sempre fidato del suo istinto.

    Alla domanda: “…uno degli investimenti da lei effettuati è considerato da molti come l’investimento di maggior successo nella storia dell’umanità. Con SoftBank avete investito circa 20 milioni di dollari in Alibaba. E al momento in cui la società è stata resa pubblica e quotata in borsa, valeva circa 90 miliardi di dollari. Cos’è che Le ha fatto pensare che valesse la pena di investire inizialmente quei 20 milioni di dollari?”

    Allora, Masa, parlando di Jack Ma, risponde: “Beh, pensa che non aveva nemmeno un business plan. Ma i suoi occhi erano molto forti – occhi forti, occhi splendenti. Me ne sono accorto subito ed ho creduto in lui”.

    E così, arriva l’incontro con Adam Neumann, che mostra a Masa i suoi uffici.

    La giusta colonna sonora in sottofondo, gli uffici spaziosi e perfetti come dei pezzi di design, i rendering in realtà virtuale degli uffici WeWork del futuro. Così, indossando gli occhiali 3D, Masa viaggia con la mente e si sente come se fosse a Tokyo o a Shanghai, guardando virtualmente fuori dalla strada e vedendo la ciò che realmente si vedrebbe dagli uffici.

    Questo fa impazzire Masa, adora questa visione ed ama l’energia di Adam.

    La leggenda racconta che, dopo un tour di soli 12 minuti degli uffici WeWork, coniugato alla solida visione di Adam Newman, Masa investe oltre 4 miliardi di dollari in WeWork.

    Si tratta di un investimento enorme.

    Ma attenzione, Masa non dice: “Adam, stai attento con i questi soldi, vorrei che tu sia un amministratore molto attento di questo investimento.”

    Invece, lo incita a fare sempre di più, lasciandogli carta bianca affinché esplori le sue visioni più selvagge. Gli impone di andare il più lontano possibile, aprendo le porte anche ad ulteriori investimenti futuri da parte di SoftBank.

    Dove si spinge Adam Neumann con questo investimento da 4 miliardi di dollari?

    La politica è chiara, lasciare un segno e farsi notare con la propria presenza.

    Si iniziano ad aprire uffici WeWork in tutto il Paese. In poco tempo, ogni grande città americana aveva finalmente un WeWork. Ma la conquista non si ferma al proprio territorio, l’intenzione è di espandersi massicciamente anche all’estero.

    Nel giro di poco tempo, WeWork diventa onnipresente ed è un contenitore di 45 milioni di metri quadrati: il più grande immobiliarista di New York, Washington e Londra.

    Ma non finisce qui, le grandi aziende hanno iniziato a trasferire i loro dipendenti negli uffici WeWork, pensando che fosse una cosa buona per i propri dipendenti lasciarli lavorare in questi spazi. Qualche nome? Verizon, Salesforce, IBM.

    Questo è il punto in cui Adam segue alla lettera il consiglio di Masa, ossia di scatenarsi e perseguire i sogni più folli.

    Apre un condominio WeLive e vuole ampliarlo. Racconta che questi sono luoghi in cui la community è forte e che dovrebbero servire a ridurre il tasso di suicidi perché la gente non si senta mai sola.

    Parla di WeGrow, una scuola che lui e la moglie hanno aperto nel centro di Manhattan. C’era WeBank, c’era WeSail. C’era WeSleep. Si parlava addirittura di una compagnia aerea, WeFly, presumibilmente. Si parlava di WeMars, mandare qualcuno sullo spazio per aprire uffici anche su Marte.

    Tutto ciò, tutto questo periodo, è stato pazzesco.

    Adam Neumann diventa incredibilmente ricco e si abbandona perdutamente alle sue eccentricità. Girava per gli uffici a piedi nudi, piscina privata nel suo ufficio, sauna a infrarossi nel suo ufficio, girava con l’autista per tutta Manhattan con la musica a tutto volume.

    Ad un certo punto, ha addirittura convinto l’azienda a comprare, per lui e gli altri dirigenti, un aereo privato.

    I dipendenti raccontano che gli alcolici scorrevano a fiumi per tutto il tempo, girava un sacco di marijuana. Si facevano dei party in campagna, all’aperto, come in un viaggio scolastico, la gente si ubriacava e ballava intorno al fuoco.

    Questa era la cultura di WeWork che Adam vedeva per l’azienda.

    L’inizio del vorticoso declino

    La gente guardava a ciò che Adam aveva realizzato e credeva fortemente in ciò che stava vedendo e gli veniva raccontato.

    E poi, oltre questo, credeva nel fatto che, il magnate giapponese che in passato aveva fatto una fortuna investendo in questi founder eccentrici e carismatici – Alibaba, Yahoo, Uber – basandosi solo sull’istinto, avesse riposto la sua fiducia in Adam.

    Se SoftBank credeva in Adam, perché non avrebbero dovuto farlo tutti gli altri?

    Ad un certo punto, WeWork fa quello che fanno le start-up di successo. Si preparano a diventare pubbliche, il che significa quotarsi in borsa e vendere le proprie azioni al pubblico.

    A questo punto, c’è sul tavolo una valutazione della società di 47 miliardi di dollari. Questo la rende la start-up più valutata di tutti gli USA di sempre.

    Come parte del processo di quotazione, WeWork deve procedere alla rivelazione di tutto il suo background e delle proprie scartoffie. Ma, purtroppo o per fortuna, è qui che le cose cominciano a diventare preoccupanti.

    Infatti, per la prima volta, i giornalisti, gli investitori, il pubblico, possono davvero guardare nel dettaglio cosa c’è sotto WeWork.

    Le perdite nette sono state poco meno di un miliardo di dollari, 904 milioni di dollari. La società aveva perso 900 milioni di dollari solo nella prima metà del 2019.

    Si erano rapidamente espansi in mercati non necessariamente amichevoli per WeWork. E c’erano stati anche dei discutibili rapporti finanziari tra Adam e la società che aveva avviato.

    Per esempio, Adam aveva registrato la parola “We” e l’aveva rivenduta alla società per 5,9 milioni di dollari. Alla fine, ha dovuto anche restituire quei soldi, ma questo ha sicuramente fatto alzare le sopracciglia.

    Aveva comprato molti degli edifici che ora WeWork stava affittando, la società gli aveva pagato milioni di dollari per l’affitto.

    Tutta la cattiva stampa e le cattive mosse hanno fatto scendere la valutazione della società dai 47 miliardi di dollari a soli 8 miliardi di dollari.

    Il valore di WeWork precipita, l’azienda è pronta a diventare pubblica?

    La caduta del Re

    Alcuni membri del consiglio di amministrazione e grandi investitori della società discutono in privato del se e come potrebbero sostituire l’amministratore delegato Adam Neumann.

    Pensano che debba essere rimosso e non dovrebbe più essere l’amministratore delegato di WeWork. Non solo non dovrebbe essere l’amministratore delegato, ma non dovrebbe più essere coinvolto in WeWork.

    Alla fine, Adam è costretto a dimettersi.

    Ma anche questo non giustifica lo sforzo di andare in borsa, così sono costretti a  ritirare l’IPO. Una cosa estremamente imbarazzante, questa società che era stata valutata 47 miliardi di dollari, la startup più valutata degli USA, improvvisamente valutata una piccola frazione di questo.

    E SoftBank, Masa, il visionario? Una cosa estremamente imbarazzante anche per lui. In definitiva, costretto a scusarsi con gli investitori, in particolare per aver riposto così tanta fiducia in Adam Neumann.

    Che ne è stato di Adam Neumann a questo punto? È stato spinto fuori dalla sua azienda. Diventa abbastanza chiaro che ha costruito qualcosa che non è poi così rivoluzionario, piuttosto un giochino finanziario.

    Ma non finisce qui, Adam riesce ad allontanarsi dall’azienda che ha fondato con oltre un miliardo di dollari in tasca. Com’è possibile?

    SoftBank ha acquistato le sue azioni in WeWork. E hanno anche accettato di pagargli 46 milioni di dollari di compensi per consulenze per un periodo di quattro anni.

    SoftBank dirà che questo è stato il costo per far uscire Adam e iniziare a ripulire il casino combinato, che include tra l’altro anche il potenziale licenziamento di migliaia di dipendenti.

    Per concludere

    La storia di WeWork e Adam Neumann è essenzialmente una storia dove si evidenziano due fenomeni.

    Il primo è questo capitalismo tecnologico avanzato, dove gli investitori si ritrovano a credere in alcuni founder di startup che spingono aziende che sono tutt’altro che tecnologiche.

    Si tratta essenzialmente di business più o meno tradizionali che si vedono riconoscere valutazioni enormi, pur essendo le basi del business lontane dalla tecnologia.

    Adam Neumann ha sapientemente utilizzato uno storytelling tecnologico per cambiare il mondo, per rivoluzionare il coworking, ma la sua azienda ha realmente avuto poco a che fare con la tecnologia.

    WeWork non è una proptech, è una società immobiliare. Aveva una valutazione tecnologica perché gli investitori credevano che fosse una tech company.

    La seconda cosa che Adam ha brillantemente sfruttato è stata la brama di ambizione e di frenesia capitalista, la brama di community. La generazione di “We”, come l’ha chiamata, alla fine riguardava essenzialmente lui.

    “La rivoluzione WE sarà guidata dalla generazione WE, e restituirà in ognuno di noi il senso di dignità e di comunità senza il quale non si può raggiungere il coraggio. La generazione WE sa che bisogna trattare gli altri nel modo in cui si vuole essere trattati”. Adam Neumann

    È stato particolarmente difficile da digerire per i dipendenti WeWork, tutto questo trambusto. Non è solo che l’azienda si è rivelata poco redditizia, è piuttosto che il loro CEO se n’è andato con un gigantesco paracadute d’oro.

    Credevano che fosse davvero più grande di così. Credevano che ci fosse ed esistesse una comunità.

    Ed ora, i fatti, raccontano che invece non lo era.

    Due dirigenti senior, Sebastian Gunningham e RD Minson sono stati nominati co-CEO: vendono il jet privato di Neumann da 60 milioni di dollari, mettono in vendita diversi immobili e posticipano l’IPO a tempo indeterminato, chiudono la scuola elementare privata della società e licenziano migliaia di dipendenti.

    SoftBank, inietta all’azienda 9,5 miliardi e mezzo di dollari. We Work viene valutata meno di 8 miliardi di dollari.

    La mancanza di supervisione da parte del consiglio di amministrazione denota un aspetto cruciale, è stato come se non ci fossero adulti nella stanza che dicevano di no alle follie di Adam.

    Forse non si è mai visto niente di così grande. Ma c’è da dire anche un’altra cosa.

    Per chi si occupa di tecnologia, sa che c’è sempre stata un mucchio di gente che ha fatto fiasco.

    C’è stato un tempo in cui eBay era 10 volte più grande di Amazon. Ora Amazon è 50 volte più grande di eBay. C’è stato un tempo in cui MySpace era l’unico social network. Ora l’unico social è di fatto Facebook.

    Non è una sorpresa che il primo topo che insegue il formaggio sia quello che è rimasto incastrato nella trappola. Questo è più o meno quello che è successo a WeWork.

    Sono passati quasi tre anni, l’azienda è sopravvissuta attraverso un nuovo management e una nuova direzione.

  • Di recente ho pubblicato un articolo per il blog di Unissu, la piattaforma di matching e di risorse interamente dedicata al proptech a livello mondiale.

    Qui la nota rilasciata dall’Editor Will Darbyshire:

    “C’è qualcosa che impedisce ai giganti della tecnologia di questo mondo, Google, Facebook e Amazon, di diventare leader anche nel settore immobiliare? Di certo hanno i soldi e lo status per fare un buon lavoro. Forse, cosa ancora più importante, hanno tutti i dati! Dati che attualmente vendono ad altri. E se cominciassero a conservarli per loro stessi? Michele Schirru ritorna a scrivere sul nostro blog per esplorare proprio questa tema.”

    Leggi qui l’articolo originale in inglese.

    Lo stesso articolo, è stato pubblicato anche nella mia rubrica Digital RE, ospitata sul blog di WeAgentz.

    Clicca qui per leggerlo.

    Alla prossima…

  • Nei giorni scorsi sono stato a Roma all’evento Crowdgeneration, organizzato da Scai Comunicazione in collaborazione con Mamacrowd.

    Un evento di formazione e matching con i più autorevoli attori del mercato.

    Per citare quanto viene riportato sul sito degli organizzatori: “L’equity crowdfunding in Italia è cresciuto incredibilmente negli ultimi anni arrivando a raccogliere nel 2019 oltre 49 milioni, con 170 campagne censite e un tasso di successo del 75% nei primi 6 mesi. Questa crescita, favorita anche dall’adeguamento delle normative in materia, testimonia anche un ampliamento del pubblico interessato a queste nuove e straordinarie opportunità di investimento e di crescita.”

    In una sola giornata, intensa e ben distribuita, come da programma si sono svolti:

    • 2 sessioni plenarie in cui sono analizzati i fattori chiave del successo delle migliori campagne italiane ed i trend del settore direttamente dalla voce dei protagonisti;
    • 8 workshop verticali di approfondimento sui vari settori: comunicazione e strategia di lancio, aspetti normativi e legali, aspetti fiscali, investor relations, etc;
    • incontri one to one con i professionisti e i consulenti di ogni settore per avere feedback e chiarimenti immediati sui singoli casi;
    • occasioni di matching e networking durante i momenti di break, dal welcome coffee al lunch, dall’aperitivo ai saluti finali.

    Insomma, tantissimi contenuti e tantissime occasioni di apprendere, conoscere, capire. Soprattutto, vista l’elevata qualità e preparazione degli speaker coinvolti.

    Chi è intervenuto

    Dario Giudici, CEO Mamacrowd, Michele Franzese, SCAI Comunicazione, Mauro Cervini, Investor – Professione Finanza, Roberto Magnifico, LVenture Group, Arcangelo Rociola, Giornalista Agi, Giovanni De Caro, Investment Manager, Enrico Viganò, Dottore Commercialista, David Casalini, CEO StartupItalia, Alessandro Lerro, Legal & Strategic Advisor, Daniela Costa, KBL Law, Massimo Ciaglia, CEO Connectia, Alfredo Belisario, Notaio, Ilaria Fava, B-yond, Roberto Preatoni, Preatoni Nuda Proprietà, Federico Rastelli, Mamacrowd,

    A chi era rivolto l’evento:

    • Startup e PMI che stanno valutando di avviare una campagna di equity crowdfunding;
    • Startup e PMI che hanno già avviato la campagna e hanno bisogno di promuoverla o approfondire le modalità di gestione post-campagna;
    • Imprenditori e investitori che vogliono saperne di più e valutare un investimento.

    Qui le mie riflessioni su quanto discusso…

    Equity Crowdfunding: un fenomeno in crescita

    L’equity crowdfunding in Italia vive un momento d’oro, dal 2014 al 2019 si evidenzia un trend crescente, inarrestabile.

    Come si può evincere dall’infografica a questo link, realizzata dal portale Crowdfunding Buzz, il fenomeno è importante e ci sono tutti i presupposti per pensare che continui a crescere ancora.

    Mamacrowd è la prima piattaforma di equity crowdfunding per capitale raccolto, la più autorevole, forse, la più nota e conosciuta, che vanta un success rate del 90%.

    Alla base di ciò, c’è ovviamente una selezione molto scrupolosa dei progetti che vengono inseriti al suo interno.

    La cosa interessante, a detta dei protagonisti dell’evento, è che, contestualmente all’ascesa dell’equity crowdfunding, stia calando l’interesse da parte di Angel Investors e Business Angels per finanziare le startup in fase pre-seed e seed.

    L’equity Crowdfunding, diventa quindi a tutti gli effetti un’alternativa molto efficace per le startup e le PMI che vogliono raccogliere investimenti per i loro progetti.

    Il crowd è qualificato

    I più scettici, i più esperti, i più tradizionalisti, potrebbero pensare che, la folla, il crowd, non abbia le basi per valutare un buon investimento.

    Il punto di vista è che, dall’altra parte, non ci sia qualcuno con strumenti e conoscenze tali da poter determinare correttamente il valore di una startup, per esempio.

    Ma come faceva notare Dario Giudici, il crowd è perfettamente in grado di fare delle considerazioni attente e scrupolose.

    Infatti, le startup e le pmi, essendo inserite in una piattaforma di comparazione con altri progetti, possono essere valutate e messe a confronto. Balzerebbe subito all’occhio una sproporzione nella valutazione pre-money in relazione allo stadio di avanzamento della startup.

    Per di più, nel crowd, ci potrebbero anche essere delle persone che lavorano nel settore in questione, veri e propri esperti che possono conoscere e comprendere molto bene le dinamiche interne.

    Non solo, la piattaforma offre di suo una selezione molto scrupolosa che porta a promuovere solo una piccola percentuale di tutti i progetti che vengono presentati.

    Questo è ulteriore garanzia della sostenibilità degli investimenti che vengono fatti.

    Non ultimo il fatto che, essendo una piattaforma di tipo marketplace con tante opzioni di vario genere a disposizione, si possa diversificare il proprio investimento.

    Insomma, se ho a disposizione 20.000 euro da investire, chi mi vieta di puntare 2.000 in dieci startup diverse? Di quelle dieci ce ne sarà almeno una che andrà bene – o benissimo – e che permetterà di recuperare quanto perso nelle altre nove.

    Per concludere

    Non è tutto ora ciò che luccica, ma è anche vero che l’equity crowdfunding porta sul tavolo delle startup tanti vantaggi e tante opportunità.

    Aumenta la visibilità per una startup: la campagna dura mediamente 60 giorni e questo permette di creare un tam-tam mediatico che può portare beneficio.

    Non ci si ferma al singolo comunicato stampa pubblicato sulla testata di settore.

    Aumenta la reach ed è possibile ampliare la platea di potenziali investitori che altrimenti non si sarebbe potuto raggiungere.

    Aumenta la salvaguardia della governance aziendale, con la possibilità di emettere quote di tipo A e di tipo B, ossia solo con diritti patrimoniali e senza diritti di voto.

    Infine, la campagna di equity crowdfunding aumenta la credibilità nei confronti degli stakeholders e del mercato dei capitali.